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Val di Fassa - Dolomiti - Trentino

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Fino ad epoca recente era diffusa tra gli studiosi la convinzione che la Valle di Fassa non sia stata abitata in modo stanziale fino al 1000 d.C. In questi ultimi anni tuttavia alcuni ritrovamenti archeologici hanno permesso di delineare un quadro totalmente diverso visto che è stato appurato che le prime tracce della presenza umana in Valle di Fassa risalgono al Mesolitico (ca. 8000-5000 anni a.C.), quando i cacciatori provenienti dall'area padana e pedemontana cominciarono a penetrare attraverso i valichi alpini e le vaste praterie, lasciate libere dal ritirarsi dei ghiacciai, alla ricerca di selvaggina da cacciare. Testimonianze del loro passaggio sono state rilevate in diverse località della Val di Fassa anche se è solo a partire dal Neolitico che le vallate alpine in generale e la Val di Fassa in particolare conobbero la presenza stanziale di gruppi umani che iniziarono a dedicarsi ad agricoltura e allevamento come dimostrano i reperti risalenti all'età del Bronzo (1800-900 a.C.) rinvenuti a Mazzin e Campitello. Gli archeologi confermano la presenza di un'unità culturale nella zona dolomitica a partire dalla II Età del ferro (V sec. A.C.). A corroborare la presenza di insediamenti stabili sono i resti di un castelliere retico sul Col de Pigui nei pressi di Mazzin. I Reti, popolo misterioso e di oscura origine, hanno lasciato diverse tracce della loro civiltà rurale in un'area che si estendeva dalle sorgenti del Reno, fino alla valle dell'Inn, dalla Val d'Adige alla zona dolomitica e il castelliere di Mazzin rappresenta appunto un tipico insediamento fortificato retico. Si tratta di un piccolo villaggio, circondato da un massiccio vallo di difesa, all'interno del quale si trovavano le abitazioni in legno dove sono state ritrovate numerose suppellettili in ceramica, macine, monili e punte di giavellotto. I Reti non costituivano un'unità politica ma erano organizzati in libere comunità di pastori e agricoltori, legate da vincoli linguistici e culturali. La civiltà retica fu presto assorbita dai Romani dopo la conquista militare dell'intera regione da parte di Druso e Tiberio con la guerra retica (15 a.C.). l'annessione della Rezia all'Impero Romano portò alla diffusione del latino tra la popolazione indigena che originò nel corso dei secoli la lingua ladina o retoromanzo. Tracce del sostrato retico nella lingua ladina si trovano ancora nella toponomastica anche se il ladino ha conosciuto una profonda evoluzione a causa dell'apporto delle lingue di contatto, in particolare dei dialetti tirolesi e alto-italiani.

E' probabile che la Comunità di Fassa abbia le sue origini proprio nelle forme organizzative delle popolazioni insediate sul territorio fin dall'antichità. Dopo la romanizzazione tali comunità giunsero ad un assetto definitivo delle proprie istituzioni in epoca longobarda, caratterizzandosi come comunità autonome. Esistono infatti notevoli tracce dell'ordinamento longobardo, come ad esempio l'istituto della "Masseria di corte", che in Fassa aveva la sua sede nella "Torn" di Vigo. Il Massaro aveva il compito di amministrare il bene comune e di garantire un certo ordine giudiziario all'interno della "degania", che era la più piccola ripartizione del ducato longobardo.

L'ordinamento della Comunità di Fassa affonda dunque le radici nell'organizzazione politica e militare longobarda e nomi come "scario", "gastaldo" e "degano" lo confermano indiscutibilmente. Verso l'VIII o IX secolo la Comunità di Fassa passò nell'area di influenza del Vescovo di Sabiona-Bressanone e quando quest'ultimo assunse, per volere dell'Imperatore, anche il potere temporale, la Comunità di Fassa rimase entro i confini del Principato Vescovile brissinese, senza comunque rinunciare alle antiche libertà e consuetudini comunitarie, che i fassani difesero contro ogni tentativo di feudalizzazione. Le comunità di pastori e contadini si basavano sulla proprietà collettiva di vasta parte del territorio, in particolare i boschi e i pascoli di alta montagna che costituivano il "Ben Comun" della valle, ovvero un patrimonio indivisibile amministrato autonomamente secondo consuetudini di antica origine delle comunità di villaggio, organizzate in Regole e Vicinìe. L'intero territorio era diviso in sette regole, che formavano la Comunità Generale di Fassa, responsabile delle questioni di interesse comune. Gli affari di ordine giuridico-amminsitrativo erano affidati al Vicario-Giudice, rappresentante del Principe Vescovo, mentre il potere politico-militare era gestito dal Capitano, che curava i rapporti tra Vescovo e Comunità, attraverso l'opera dei Procuratori, suoi legittimi rappresentanti. In epoca moderna la Val di Fassa condivise il destino storico delle altre vallate ladine all'interno dell'Impero asburgico. Con le guerre napoleoniche vennero a cadere molti dei privilegi goduti fino ad allora dalla Comunità e, una volta soppressi i principati vescovili, la Val di Fassa venne definitivamente aggregata alla Diocesi di Trento.

La Val di Fassa rimase nell'orbita asburgica fino allo scoppio della prima guerra mondiale che portò grandi sconvolgimenti in tutta l'area dolomitica e segnò profondamente la vita dei paesi che si vennero a trovare proprio sulla linea del fronte. Dopo un periodo di relativa tranquillità durante il regno di Francesco Giuseppe d'Asburgo, Fassa si ritrovò all'improvviso al centro di forti tensioni e ostilità, a causa dei conflitti tra irredentisti italiani e i nazionalisti germanici che rivendicavano l'egemonia sulle comunità ladine.

Allo scoppio della guerra, nel 1914, molti dei giovani fassani furono mandati dall'esercito austriaco a combattere sui fronti orientali, in Polonia e in Galizia, dove il tributo di caduti fu particolarmente pesante. All'ingresso in guerra del regno d'Italia, nel 1915, la Val di Fassa si ritrovò a ridosso del fronte e la popolazione civile conobbe tutti gli orrori e gli stenti della guerra. Una lunga teoria di trincee si snodava lungo tutta la valle, dalla Marmolada, alle alture di Costabella, Juri Brutto e Cima Bocche, dove sono tuttora visibili i segni di aspre battaglie, con trincee, fortificazioni, reticolati, camminamenti. Numerosi sono infatti i percorsi che consentono di fare un viaggio a ritroso nel tempo, per scoprire la durezza della guerra in alta montagna, dove il freddo, la neve e le terribili asperità che i soldati dovevano superare, mieterono più vittime dei combattimenti stessi. La guerra di posizione combattuta a tremila metri di quota tra l'esercito austriaco e quello italiano ha dunque lasciato segni tangibili di questa immane tragedia e un'escursione lungo la linea del fronte potrà servire a dare almeno un'idea delle terribili condizioni in cui i soldati erano costretti a sopravvivere.

Con la fine della prima guerra mondiale e il passaggio sotto il Regno d'Italia, inizia in Val di Fassa il lento ma costante sviluppo turistico che in pochi decenni ha cambiato radicalmente l'economia della valle fino a trasformarla in un vero e proprio paradiso per le vacanze.

Testi descrittivi concessi da: Azienda per il Turismo della Val di Fassa www.fassa.com

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